Giorni Selvaggi e Kerouac, libri per viaggiatori

Durante l’ultimo viaggio a Tenerife, tra Oceano, Teide, sole e tanto vento ho portato con me due libri di cui rimandavo la lettura da parecchio tempo. “I vagabondi del Dharma” di Jack Kerouac è uno di quei classici che ho iniziato un paio di mesi fa per poi abbandonarlo (probabilmente sacrificandolo a Sally Rooney) dopo le prime 50 pagine in quanto non mi sentivo nel mood giusto per dedicarmi. E quando si legge Kerouac avere la giusta predisposizione d’animo è tutto. Mentre Giorni Selvaggi è la cronaca della vita sul surf di William Finnegan ed era nella mia lista dei desideri da tanto, troppo tempo. Ma su questa autobiografia torneremo più avanti. Diciamo che entrambi i titoli mi sembravano adatti ai paesaggi delle Canarie e al nomadismo (digitale) che ormai rievocano.

Partiamo dal dogma che leggere Kerouac quando si è in viaggio voglia dire giocare facile: nessuno meglio di lui è stato in grado di raccontare la pulsione della partenza, del movimento fine a se stesso, senza bisogno di avere uno scopo o una meta precisa. I vagabondi del Dharma segue questo filone e viene quasi sempre identificato come il seguito ideale di “On the road”. In realtà se nel suo capolavoro assoluto, il tema del viaggio in automobile da una costa all’altra degli Stati Uniti in preda alla febbre della Beat Generation diventava metafora di vita, in questo sequel si tratta invece di un mezzo per raggiungere l’illuminazione. Il tema principale, infatti, è il Buddhismo come filosofia di vita, una ricerca abbastanza disordinata ma autentica della verità nelle sue svariate forme.

L’atmosfera del libro è onirica tra meditazioni nella natura, passeggiate tra i picchi della California, viaggi a piedi o in autostop contrapposti a bevute importanti e feste brave, ritratto dello spirito beatnik a cui il buon Jack ci ha abituati nei suoi altri libri. Lo scopo della ricerca dei vagabondi è però autentico, così come il bisogno di un’illuminazione per dare un senso alla vita. Il tono di voce è sempre quello di un racconto autobiografico (come in effetti è) con un linguaggio fluido e un ritmo veloce.

Il silenzio era un fragore assordante. Dalla nostra postazione, il suono del torrente, il gorgoglio e l’allegro sciabordio del torrente erano attutiti dalle rocce. Sentimmo molti altri malinconici jodele-i e rispondemmo ma ogni volta parevano sempre più lontani. Quando riaprii gli occhi il rosa si stava tingendo d’un viola sempre più intenso. Cominciarono a brillare le stelle. Mi abbandonai ad una profonda meditazione, percepii veramente le montagne come tanti Budda amici, e provai un’inquietante sensazione pensando a quanto era strano che ci fossero tre uomini soli in tutta quell’immensa vallata: il mistico numero tre. 

Se On the road vede come personaggio chiave Neal Cassidy, qui abbiamo una figura irrequieta e mistica che scala montagne a mani nude, dona regali senza chiedere nulla in cambio e studia un buddismo colto e intellettuale. Si tratta di Japhy, nella vita reale Gary Snyder, poeta in vita e contemporaneo ecoattivista. In lui Kerouac (nel libro Ray) vede l’essenza del legame tra natura, meditazione e illuminazione che in un’atmosfera magica è l’anima dei vagabondi.

Retro Copertina di Giorni Selvaggi

Stessa inquietudine, bisogno di nomadismo e ricerca della verità ma con una risposta diversa sono anche gli ingredienti essenziali di Giorni Selvaggi di William Finnegan. Un libro, vincitore del Premio Pulitzer, che parla dell’amore trascendentale dell’autore per il surf. Questo sport, raccontato a partire dai tempi in cui non era ancora una moda diffusa tra i più giovani, è stato la guida della sua vita, tanto da essere descritto come il motore di tutto fino ad essere un’ossessione talvolta malsana. 

Non scherzo se dico che è un libro che volevo leggere da almeno due anni, per la curiosità che il surf mi ha sempre suscitato. Mi riesce difficile immaginare che qualcuno riesca a non rimanere affascinato dalle acrobazie dei surfisti intenti a sfrecciare tra tubi d’acqua e spuma. Ma è altrettanto difficile pensare che basti rimanerne affascinati per motivarsi e trovare il coraggio di farlo. Diciamo che il libro conferma che una bella dose di incoscienza la devi avere per arrivare a surfare le onde vere (piccola nota di regia estemporanea: anche io ho surfato in Sardegna una volta ed è stata un’emozione bellissima quella di alzarsi sulla tavola spinti dall’onda. Ma parliamo di un’ondina se consideriamo il surf vero, quello fatto  da pareti di acqua. Impossibile per me anche solo immaginare di trovare il coraggio di remare su una di queste. E vi posso assicurare che già le ondine danno il loro bel grattacapo).

Nel caso di Finnegan il surf era la ragione di vita ed è affascinante come uno sport trovato per caso possa poi diventare la risposta al senso della tua esistenza. Parliamo di un uomo che ha iniziato a girare il mondo come nomade, facendo i lavori più disparati in Paesi lontani (prima che diventassero turistici per il circuito del surf) alla ricerca dell’onda, quella perfetta. Penso che la parte più affascinante di Giorni Selvaggi sia proprio la sua capacità di descrivere minuziosamente le onde che ha affrontato, le sue sensazioni al riguardo e talvolta anche le cronache dei suoi pericoli/infortuni (racconto talvolta anche troppo dettagliato e che rallenta l’azione). Una dimostrazione di come trovare la propria dimensione e seguirla sia il vero senso della nostra esistenza. Anche questo richiede del resto una buona dose di coraggio.

Ovviamente ci sono delle pagine interessanti sulla geografia dei luoghi, sulla sua carriera come reporter politico e d’inchiesta, oltre a scene familiari intrecciate al contesto storico e sociale del tempo. Anche qui grande attenzione al peregrinare, molto diverso dallo spirito collegiale dei Vagabondi del Dharma. Anche se l’autore ha viaggiato per buona parte del tempo con un amico o gruppo di amici, si avverte il bisogno di un contatto individuale con l’onda e con il viaggio stesso. Una solitudine durata anni che alla fine ha trovato la propria dimensione inaspettatamente nell’Oceano urbano, in un percorso molto personale di ricerca della felicità.

Nella foto di copertina, giorni selvaggi a Tenerife 🙂

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