Deep Work, in cerca della concentrazione persa

Per ogni persona che menziona i social media come merito della sua ascesa ce n’è almeno un’altra che ritiene il fenomeno come altamente nocivo per svariati motivi (vedi post sul documentario Netflix di qualche tempo fa). C’è un libro “Deep Work” di Cal Newport che fornisce una teoria interessante al riguardo, punto fondamentalmente sull’importanza della concentrazione.

Il libro si apre con il racconto di Carl Jung, all’alba della sua scissione ideologica dal suo mentore Sigmund Freud che decide di allestire un suo spazio vicino Zurigo. Un luogo riservato da dedicare alla concentrazione profonda per poter lavorare alle sue nuove teorie. Un esempio fra tanti, con l’evidenza che nell’era dei social media, dove tutti sono sempre e perennemente raggiungibili, per ricercare l’eccellenza è necessario essere in controtendenza e trovare un proprio equilibrio.

Partiamo dal presupposto che non sono solo gli scrittori e i filosofi ad aver bisogno di concentrazione ma chiunque voglia fare un buon lavoro e non solo. Come spiega lo stesso Cal Newport, la sua visione è di spingere i lettori a coltivare la capacità di produrre valore vero in un mondo sempre più distratto e di riconoscere la verità abbracciata dalle personalità più creative e importanti delle generazioni passare.

L’idea

Analizzando il mercato del lavoro di oggi, la concentrazione, come sostiene anche Mihaly Csikszentmihalyi nel suo libro Flow, risulta essere un’abilità chiave. I motivi sono molteplici e fondamentalmente agevola due competenze molto richieste oggi:

  • Concentrarsi al massimo aiuta ad acquisire velocemente competenze tecniche
  • Permette una produzione di alto livello

Concentrarsi infatti, vuol dire rendere il proprio lavoro quasi un’opera di artigianato e non semplicemente mandare fuori email come un router perennemente connesso o tenersi affaccendati con tante piccole attività di poco impatto. Quello che dobbiamo mirare a creare è un nuovo modo di lavorare che sia in grado di scendere nella profondità delle cose.

E dobbiamo ammettere che in un mondo pieno di app e siti che anelano alla nostra attenzione per guadagnare, sta a noi essere in grado di selezionare a quale di queste vale davvero la pena dare parte (preziosa) del nostro tempo.

Deep Work

Le alternative

Come potrete immaginare l’autore, che tre anni dopo Deep Work (datato 2016) ha dato alle stampe Digital Minimalism, punta molto il dito contro social media and co. La domanda però non è solo sui danni psicologici, di dipendenza ma anche una semplice domanda:

che valore aggiunto ci portano?

E non è una domanda di per sé accusatoria. Si tratta di un quesito che ogni essere umano deve porsi prima di approcciare o scegliere di fare qualcosa. Perché si può decidere di essere su un social se se ne trae uno specifico vantaggio. Ad esempio, sono su Facebook perché voglio restare in contatto con gli amici ed è l’aspetto che privilegio. Sono su Linkedin perché sto vendendo i miei servizi di consulenza.

Si tratta di scelte consapevoli quindi. E non possono essere tutte, perché sennò il rischio è davvero di frammentare tanto, troppo la propria attenzione e tempo perché i social offrono una tentazione molto grande di essere sempre connessi. Un intero capitolo è dedicato solo a questo.

Il secondo punto invece è anche come riuscire a ricavare il tempo per concentrarsi, davvero. E su questo la narrazione è ancora più interessante perché propone tre filosofie lavorative diverse e tutte e tre valide. In particolare:

  • Filosofia monastica: pianificare momenti di concentrazione immensa focalizzata su uno specifico obiettivo eliminando completamente le distrazioni;
  • Filosofia bimodale: dividere il tempo in due fasce di cui una completamente chiusa e indistraibile e un’altra aperta anche ad attività più superficiali;
  • Filosofia ritmica: lavorare ogni giorno nei ritagli di tempo su un certo progetto e segnare una x per tenere appunta il ritmo.

C’è poi una quarta via che è un livello pro ed è la filosofia giornalistica. Nel libro si parla di Walter Isaacson, celebre giornalista e biografo che è in grado di concentrarsi a più livelli a seconda delle esigenza, lavorando anche con le scadenze. In grado di alternare momenti di divertimento e subito dopo tornare in modalità lavoro.

Cosa mi sono portata a casa dalla lettura di Deep Work?

Che vivere completamente senza social oggi non è secondo me la condizione ideale perché ci sono benefici come scoprire gli eventi interessanti, stimoli culturali o suggerimenti su film, libri e altro. Perché privarsene. Quello che sto facendo è razionalizzare. Ridurre a un tot di sessioni giornaliere l’accesso agli unici 2 social che principalmente uso (Linkedin & Twitter) E come farebbe Marie Kondo guardo un’app sul mio cellulare e chiedo: mi sei utile?

Vi farò sapere!

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